SENATO: Informativa del Ministro della Difesa Crosetto in merito agli eventi che hanno interessato il personale e le basi della missione UNIFIL in Libano

SENATO: Informativa del Ministro della Difesa Crosetto in merito agli eventi che hanno interessato il personale e le basi della missione UNIFIL in Libano

Informativa del Ministro della Difesa Crosetto, in merito agli eventi che hanno coinvolto il personale e le basi della missione UNIFIL in Libano:

"Mi permetto una nota personale, sono qua per il profondo rispetto che nutro nei confronti del Parlamento e del suo ruolo. Come sapete, questa mattina, subito dopo l'informativa al Senato, ne svolgerò un'altra alla Camera dei deputati sul medesimo argomento, poi raggiungerò Bruxelles, dove è in corso un vertice NATO che inizierà stamattina e si concluderà domani.

Come ho avuto modo di dire, quella in atto è una crisi gravissima, caratterizzata dal superamento progressivo di diverse linee rosse, nonostante i ripetuti appelli della comunità internazionale. Non da ultima - anzi, per prima - l'Italia, dato che la prima lettera che inviai su questo tema specifico all'ONU, a Lacroix, è datata novembre 2023. Oggi, purtroppo, assistiamo al sistematico ricorso alle armi a Gaza e in Libano, e le vittime sono soprattutto civili inermi già duramente provati dalla pioggia di missili, droni e bombe utilizzati da ambo le parti.

L'Italia ha detto e ribadito con chiarezza, non da oggi, che riconosce il diritto di Israele di esistere e difendersi dagli attacchi di chiunque, siano Stati sovrani o organizzazioni terroristiche. Si tratta di un'affermazione e una posizione in cui crediamo e non di prammatica. Allo stesso tempo, con la stessa forza, abbiamo chiesto e chiediamo a Israele di attenersi in modo rigoroso alle regole del diritto internazionale, come della convivenza civile tra Nazioni e Paesi, di proteggere l'incolpevole popolazione civile, a Gaza come in Libano, e di rispettare il personale e le basi, in questo caso di UNIFIL, schierati nel Libano del Sud su preciso mandato delle Nazioni Unite, per l'implementazione della risoluzione ONU n. 1701, che nel 2006 venne varata all'unanimità da tutti i Paesi del Consiglio di sicurezza e sottoscritta sia da Israele che dal Libano.

È bene ricordare sempre che Hezbollah, come Hamas, non è uno Stato né un popolo, ma un'organizzazione terroristica, dotata peraltro di una forza militare molto rilevante, che risponde alle logiche militari e politiche di chi non deve rendere conto al proprio popolo. Questa è la realtà dei fatti innegabile.

Un ulteriore aggravamento degli eventi, peraltro in parte già in atto, sarebbe però foriero di conseguenze drammatiche per tutti e genererebbe uno scenario che non avrebbe né vincitori né vinti, con incalcolabili conseguenze per il Medio Oriente e probabilmente per gli equilibri mondiali.

Per questo motivo, il Governo continua a lavorare per una soluzione diplomatica che, per quanto difficile, resta l'unica possibile. Lo fa con il viaggio oggi in corso della Presidente del Consiglio in Libano, con le iniziative del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Tajani, con una serie di viaggi, chiamate e contatti continui, assidui e quotidiani, che io stesso ho fatto, sto facendo e farò in questi giorni e nelle prossime settimane.

Non ultima, proprio ieri, una videoconferenza che ho fortemente voluto con il collega francese con i 16 Paesi dell'Unione europea, che fanno parte dei 50 contributori della missione UNIFIL. Da tale Conferenza è venuto fuori un messaggio unanime e condiviso da tutti: la missione UNIFIL in Libano non solo va rafforzata, ma supportata e, allo stesso tempo, vanno rafforzate e rese credibili le forze armate libanesi, Lebanese Armed Forces (LAF). Per dirla in una battuta, servono nuove regole d'ingaggio che puntino a modificare e rafforzare la risoluzione n. 1701, datata 2006, che non solo vanno prese in modo unanime e condiviso, ma devono essere sempre fatte rispettare.

A Israele, diciamo con la schiettezza, come si fa tra amici: aiutateci a rafforzare UNIFIL e le forze armate libanesi perché possano svolgere il loro mandato e fare in modo pacifico ciò che avete iniziato a fare adesso con le armi.

Veniamo ora ad una rapida descrizione degli eventi più importanti degli ultimi giorni. Il 1° ottobre scorso Israele ha avviato una serie di operazioni militari di terra nel Sud del Libano, con limitate incursioni condotte da unità di ricognizione e sporadici scontri con le linee di difesa della resistenza islamica libanese, in prossimità della blue line. Le Israeli Defense Forces (IDF) hanno inoltre sviluppato un'intensa azione di fuoco, colpendo ripetutamente i villaggi di Yarun e Marun Al Ras, nel settore Ovest, e Adassiyeh, nel settore Est, giungendo progressivamente fino alla parte meridionale di Beirut al fine di saggiare l'organizzazione difensiva di Hezbollah, degradare la capacità di comando e controllo e colpire gli stock di armamenti di maggior pregio. Per contro, la resistenza islamica ha lanciato centinaia di missili contro il territorio di Israele, per la verità, quasi sempre con effetti trascurabili a causa della sua imprecisione e dell'efficacia della difesa aerea israeliana.

Dal canto loro, le unità della LAF, dislocate a ridosso della blue line, sono arretrate di alcuni chilometri con posizioni in dominio di quota, al fine di non essere coinvolte negli scontri e mantenere una buona conoscenza informativa.

Il 6 ottobre scorso, per la prima volta, è stato registrato fuoco di artiglieria e movimenti di unità terrestri dell'IDF a ridosso delle basi avanzate UNIFIL 1-31, 6-50 e 6-52, nel settore Ovest, nonché nei pressi di Blida, nel settore Est. Due giorni dopo, la Marina israeliana ha interdetto l'area al largo del Libano e ha iniziato un'azione di fuoco contro obiettivi ubicati nella fascia costiera. Il 10 ottobre le Forze armate israeliane hanno circondato e osservato con droni la base UNIFIL 1-31, ubicata lungo la blue line e occupata da personale italiano. In aggiunta a ciò, le Forze israeliane hanno più volte aperto il fuoco con armi portatili, danneggiando telecamere, sistemi di comunicazione e alcuni serbatoi.

Ulteriori azioni di fuoco da parte dell'IDF si sono verificate presso le basi 1-32, presso il quartier generale di Naqoura. Nel primo caso, che ha coinvolto personale italiano, non è stato registrato alcun ferito, in quanto i nostri militari si trovavano già, per ragioni di sicurezza, al riparo nelle postazioni protette nei bunker, a seguito dell'innalzamento del livello di force protection. Nel secondo caso, è stato invece riportato il ferimento di due caschi blu indonesiani; in ambedue le installazioni era comunque presente anche personale italiano.

Sia nel settore Ovest che in quello Est UNIFIL, vi sono stati pesanti scontri tra l'IDF e la resistenza islamica. L'11 ottobre scorso sono state registrate azioni di fuoco dell'IDF contro il quartier generale di UNIFIL di Naqoura, che hanno causato il ferimento di due militari dello Sri Lanka. Inoltre, nella base 1-31 a guida italiana, tre T-wall, componenti modulari del muro di cinta, precedentemente danneggiati, sono stati abbattuti. Nella serata dello stesso giorno il fuoco aereo israeliano, in prossimità della base UNP 5-42, occupata da personale ghanese, ha provocato significativi danni infrastrutturali.

Il 13 ottobre due carrarmati israeliani hanno fatto irruzione nella base 5-42, con l'intento di recuperare alcuni feriti, sfondando il cancello principale. Dopo un'ora, a seguito delle richieste di UNIFIL, i mezzi hanno lasciato la base. Nel contempo, l'IDF ha condotto molteplici attacchi aerei nella parte meridionale del Libano, colpendo circa 200 obiettivi di Hezbollah.

La sera del 15 ottobre, un carro armato israeliano Merkava ha aperto il fuoco contro la base avanzata UNIFIL sotto il comando del contingente spagnolo a Kfar Kela, settore Est, colpendo una torretta della base e danneggiando le telecamere di sorveglianza montate su di essa. Nell'evento non risulta sia rimasto ferito personale delle Nazioni Unite. Al momento, le IDF hanno suddiviso il loro dispositivo militare in quattro settori di responsabilità, a ognuno dei quali è stata assegnata una divisione per un totale di 13 brigate. Sei ulteriori brigate sono attualmente dislocate nella Striscia di Gaza.

Tra attacchi e contrattacchi, i due attori principali, Israele e Hezbollah, di cui il legame con l'Iran è evidente e palese, si muovono su un filo sottilissimo e mai come ora il rischio di un conflitto aperto che coinvolgerebbe e forse trascinerebbe l'intero Libano è diventato reale. La scintilla che ha avviato questa nuova fase è stata probabilmente l'uccisione del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che stava presenziando alla cerimonia del giuramento del nuovo presidente iraniano Pezeshkian.

Ricordo inoltre che gli attacchi israeliani sono stati preceduti da un'inedita operazione condotta attraverso esplosioni coordinate di cercapersone e walkie talkie, appartenenti ai membri del Partito di Dio. Ciò ha dato un ulteriore impulso al conflitto, consentendo a Tel Aviv di colpire la leadership e ingenerare frustrazione e sfiducia in Hezbollah.

Sul piano degli effetti collaterali, i bombardamenti israeliani hanno causato un elevato numero di vittime e feriti tra i civili, che hanno sovraccaricato le strutture sanitarie libanesi e aggravato quella crisi umanitaria che rischia di divenire ancor più ampia di quella di Gaza, che, secondo fonti palestinesi, ha provocato ad oggi oltre 40.000 vittime. Hezbollah, di contro, ha lanciato - ed è una novità - missili balistici a medio raggio verso Tel Aviv, che, seppur largamente intercettati, segnano un ulteriore cambio di passo nelle tecniche di attacco.

Negli ultimi giorni sono inoltre emerse alcune vulnerabilità, per la prima volta, nel sistema di difesa aerea israeliano, che hanno presumibilmente indotto gli Stati Uniti all'annuncio di voler schierare una batteria di difesa aerea Terminal high altitude area defense (THAAD).

È chiaro che le azioni israeliane contro le basi delle Nazioni Unite sono state rilevanti e gravissime, come ho avuto modo di dire, violazioni del diritto internazionale e non semplici errori o incidenti.

Israele ha dichiarato di aver ripetutamente invitato UNIFIL a lasciare temporaneamente la zona prossima alla blue line e di aver chiesto all'ONU di spostarsi più a Nord di circa 5 chilometri per evitare che la missione potesse divenire scudo involontario delle milizie di Hezbollah, che usano le loro posizioni avanzate per proteggersi.

Da quanto emerge, tuttavia, dalle dichiarazioni del gabinetto di guerra di Tel Aviv, che mi sono state anche personalmente confermate dal mio omologo Gallant, le azioni israeliane non puntano a occupare la parte Sud del Paese confinante, quanto a ripristinare la sicurezza per consentire il rientro dei circa 80.000 israeliani che sono dovuti sfollare dalle zone di confine con il Libano, implementando, di fatto con la forza, ciò che la risoluzione n. 1701 avrebbe dovuto fare e che purtroppo è rimasta per troppo tempo lettera morta.

Subito dopo tali eventi, ho personalmente voluto esprimere al ministro della difesa Gallant e all'ambasciatore israeliano il fortissimo disappunto dell'Italia, richiamando la necessità di astenersi da condotte aggressive contro le forze di UNIFIL. L'ho fatto in modo schietto e accorato, com'è mio costume, consapevole della drammaticità della situazione e del momento che stiamo vivendo.

Tali preoccupazioni sono state da me illustrate anche, con uguale forza e convinzione, al vice segretario per le operazioni di pace delle Nazioni Unite Lacroix, che avevo già incontrato e interessato nei mesi passati, rappresentando le difficoltà dell'ONU ad operare efficacemente in un contesto come quello libanese e i rischi conseguenti a queste difficoltà.

UNIFIL è una missione complessa, con un mandato di difficile implementazione, regole d'ingaggio inadeguate e forze non equipaggiate per l'attuale situazione del conflitto in essere, ma che, come avevo detto più volte all'ONU, erano già da tempo in questa situazione, quindi non soltanto oggi, che c'è una guerra in quelle zone. Questi presupposti hanno reso l'attuazione di quella risoluzione poco aderente alla situazione sul campo, che è diventata ormai un conflitto tradizionale e aperto. Lo scollamento pratico tra la missione assegnata e la capacità di implementarla rende ora più che mai necessario ripensare e rafforzare UNIFIL, rendendola credibile ed efficace: è l'unica alternativa a una guerra sul campo.

Sin dall'inizio della crisi scaturita dagli eventi del 7 ottobre 2023, ho sollecitato una riflessione alle Nazioni Unite per adottare misure concrete e garantire la sicurezza del personale, assicurando nel contempo l'efficacia operativa della missione. Ho voluto anche segnalare la necessità di un incisivo e rapido intervento delle Nazioni Unite che metta UNIFIL nelle condizioni di esercitare una reale deterrenza all'uso della forza. Questo potrebbe essere ottenuto prevedendo diverse opzioni operative, quali ad esempio la presenza di una riserva schierabile rapidamente nel Sud del Libano, garantendo così la piena libertà di manovra delle unità e adeguando l'equipaggiamento in dotazione all'ambiente in cui operano.

A prescindere da questo, ad oggi - voglio che sia chiaro e che resti agli atti - non è messa in discussione la nostra partecipazione all'UNIFIL, che proseguirà fino a quando ve ne sarà la necessità e fino a quando le Nazioni Unite, insieme ai cinquanta Stati contributori, non decideranno diversamente. Andare via ora non porterebbe alcun beneficio e minerebbe forse definitivamente la credibilità delle Nazioni Unite. La possibilità della soluzione multilaterale nelle crisi del mondo ha un valore che va al di là del fatto contingente. La presenza dei soldati di UNIFIL può invece ancora costituire un elemento fondamentale per prevenire nuovi e peggiori scontri diretti, nuovi e peggiori conflitti. I caschi blu possono fungere da fattore di pacificazione necessario in questo momento. Inoltre, la loro presenza tornerà ad essere determinante nella fase di stabilizzazione, quando - speriamo tutti molto presto - si potrà abbassare il livello dello scontro.

Israele deve comprendere che questi soldati non lavorano per una delle parti, ma sono lì per aiutare a mantenere la pace e promuovere la stabilità regionale. L'imparzialità dei caschi blu è e deve rimanere uno dei pilastri di UNIFIL. Ecco perché le Nazioni Unite non possono accettare di prendere ordini da nessuna delle due parti. (Applausi).

Passando ora alle azioni intraprese dalla Difesa, voglio prima di tutto rimarcare che la priorità mia, del Governo e - presumo - di tutto il Parlamento rimane la sicurezza e la tutela dei nostri militari, del contingente italiano UNIFIL. Sono in costante contatto con il Capo di stato maggiore della difesa, il Comando operativo di vertice interforze e il comandante italiano per monitorare, ora dopo ora, ciò che accade lungo la blue line. A giorni, subito dopo il G7 della Difesa, nel quale, a partire da domani, dedicheremo ampio spazio al Medio Oriente e al Libano, con ulteriori riflessioni e considerazioni, andrò a Beirut e a Tel Aviv.

Inoltre, seguirà presto una conferenza in Italia per rendere concreto il sostegno alle forze armate libanesi in termini finanziari, addestrativi e di equipaggiamento. Una prima conferenza virtuale, con la presenza di ben 16 Paesi contributori, si è tenuta ieri, a seguito di un'iniziativa congiunta mia e del collega francese Sébastien Lecornu.

Ricordo che oggi la presenza nell'area è molto significativa e che noi contribuiamo con oltre 1.000 militari e con circa 20 unità impegnate a Beirut nella Missione militare bilaterale italiana in Libano, conosciuta come Mibil. Il contingente della Missione bilaterale è stato recentemente ridotto per motivi di sicurezza; ci aspettiamo che possa tornare a operare a pieno regime non appena le condizioni lo permetteranno. Nel frattempo, abbiamo adottato tutte le misure necessarie per gestire i rapidi cambiamenti di situazione, rafforzando le misure di protezione attiva e passiva. Inoltre, i piani di evacuazione sono stati aggiornati e testati e sono pronti ad essere attuati se fosse necessario.

Come Difesa siamo pronti a fare la nostra parte e, qualora necessario, in grado di condurre operazioni di estrazione del contingente nazionale e dei nostri connazionali in Libano, anche in modo autonomo. In tal senso, sono già stati preallertati assetti aeronavali per tale scopo e il loro livello di prontezza è stato recentemente innalzato e adeguato alla situazione sul campo.

Accennavo prima all'impegno italiano a sostegno alle forze armate libanesi, affinché assumano un ruolo maggiore per la sicurezza e la stabilità del confine israelo-libanese e all'interno del Paese. L'Italia ha sempre cercato di coinvolgere più Nazioni europee, gli Stati Uniti, altre Nazioni e i Paesi arabi in un progetto di assistenza concreta allo sviluppo delle forze armate libanesi. L'impianto iniziale era quello di costituire un fondo internazionale per reclutare, formare, addestrare ed equipaggiare le forze armate libanesi. In questo senso, da mesi stiamo organizzando una conferenza dei donatori necessaria a reperire i fondi per finanziare tali progetti. L'obiettivo è collaborare con i vertici della Difesa libanese per identificare programmi, attività e iniziative mirati a rafforzare le forze armate, permettendo loro di crescere in capacità operativa, credibilità e indipendenza, sottraendole, e sottraendo il Paese, all'influenza di Hezbollah.

Con lo stesso spirito, improntato a massimizzare le attività di capacity building, stiamo valutando l'ipotesi dell'invio di 200 carabinieri per formare le forze di polizia palestinesi a Gerico. Questa iniziativa risponde a una richiesta avanzata dal segretario di Stato USA Blinken, nella considerazione che gli eventi in Palestina siano estremamente connessi a quanto accade nell'intera area mediorientale. Tuttavia, la sua attuazione è subordinata a una condizione essenziale, che io ho posto: la garanzia totale che tutte le parti coinvolte accettino di buon grado la presenza dei nostri militari.

Ritengo che il Libano sia un tassello chiave per la stabilità di tutto il Medio Oriente. Dobbiamo continuare a garantire la nostra piena e costruttiva collaborazione a tutte le iniziative volte a favorire una de-escalation della situazione, ma Israele deve comprendere l'importanza di rispettare pienamente il diritto internazionale.

In definitiva, l'obiettivo della nostra azione dev'essere quello di stabilire un orizzonte condiviso e delineare un percorso comune per evitare che possa scatenarsi un ulteriore conflitto su una scala sempre più alta in Medio Oriente, con gravissime ripercussioni per tutti.

Per questa ragione dobbiamo convincere Israele, un Paese amico, nonostante oggi ne abbiamo censurato alcune condotte, affinché riprenda ad essere un interlocutore con cui dialogare, anche in modo duro, ma con spirito costruttivo, nell'interesse della pace e della stabilità.

Non esiste una sola agenda, e non esiste un'agenda che qualcuno possa imporre a tutti gli altri. Le crisi internazionali si risolvono dialogando: non accettiamo che l'unico modo di risolverle sia quello della forza o quello militare; ci ostineremo a farlo sempre e comunque, perché accettare che solo la forza e solo la guerra siano il modo di risolvere le controversie internazionali significa negare l'utilità di qualunque organizzazione sovranazionale e multilaterale, e questo noi non lo faremo mai. (Applausi).

La mia, la nostra idea, non del Governo, ma vorrei dire del Paese, da cui non recediamo e sulla quale lavoriamo ogni giorno, in modo silenzioso e concreto, è quella di promuovere spazi di pace, rifiutando l'idea che quel territorio sia destinato a un conflitto permanente. L'esperienza ci insegna che, quando una guerra si protrae senza soluzione, poi diventa difficile porvi fine.

L'esperienza ci dimostra - io cito sempre l'esempio del Kosovo - quanto sia lungo il tempo con cui poi riusciamo a rimarginare le ferite. Noi siamo in Kosovo da venticinque anni e la situazione di quel Paese non è minimamente paragonabile a quella di Gaza e Israele; la ferita del Kosovo non è minimamente paragonabile a quelle che ci sono in Medio Oriente, eppure da venticinque anni siamo in Kosovo e ancora oggi vediamo che quelle ferite non sono rimarginate.

Dobbiamo abituarci ad affrontare le crisi internazionali che stiamo vivendo con quest'ottica, che è quella non delle cadenze elettorali, ma di come si muovono il mondo e l'umanità. Le ferite si rimarginano in decenni: devono cambiare le generazioni perché cambino i popoli. Dobbiamo partire da questo, che dev'essere non un ostacolo, ma un motivo per partire subito. I tempi e le difficoltà con cui si rimarginano le ferite degli scontri tra i popoli sono così lunghe e di così lunga scadenza che noi dobbiamo accelerare la fine della guerra che amplia e aumenta le ferite e allontana di più i popoli.

Parlando del Libano, per quanto sia difficile spiegarlo, è necessario che l'ONU non molli e, per quanto sia difficile spiegare la surreale presenza in questo momento di forze militari che non possono agire come dovrebbero, noi sappiamo che una rinuncia sarebbe peggio e metterebbe fine alla possibilità del mondo e delle organizzazioni sovranazionali di intervenire nelle crisi regionali.

Ciò è fondamentale e lo è altrettanto difendere in ogni modo UNIFIL dalle due parti. Oggi, da Israele, perché oggi è stato Israele a metterla in difficoltà e, con la schiettezza che si usa con gli amici, gliel'abbiamo detto senza peli sulla lingua: rispettare UNIFIL significa rispettare anche la vostra futura possibilità di avere una pace che non preveda sempre schieramenti di truppe israeliane nel Nord. È un compito che la comunità internazionale ha assunto sulle sue spalle e, certamente, la comunità internazionale deve dimostrare di sapere assolvere. Allo stesso modo, Israele ha il diritto di poter rimandare nelle loro case le 80.000 persone sfollate dal Nord, così come i libanesi sfollati dall'attuale zona di guerra hanno il diritto di ritornare nelle loro case. È la comunità internazionale che deve garantire la sicurezza degli uni e degli altri nel loro diritto di tornare nelle proprie case.

È un compito importante e per il quale occorre unità. Per questo ieri abbiamo messo insieme, in una riunione, 16 Paesi europei e vogliamo farlo nell' ONU. Vogliamo spingere la comunità internazionale ad assumersi sempre di più un ruolo in queste crisi, perché è l'unico modo in cui possiamo affrontare queste soluzioni. L'alternativa sarebbe osservare da fuori scontri sempre più violenti, che non possono che aumentare e coinvolgere altre Nazioni.

Parliamo del Libano, una Nazione martoriata dai profughi siriani (sta ospitando più profughi di qualunque altra Nazione al mondo), a cui si aggiungono oggi quelli interni. Se non riusciamo nemmeno in un luogo come quello a trovare la forza di avere un'azione internazionale comune forte, probabilmente non ci riusciremo da nessuna parte.

Io non voglio rinunciare all'idea che ci sia la possibilità per il mondo e per le Nazioni, sedendosi intorno a un tavolo, di risolvere in modo pacifico le crisi".

Redazione


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